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Saggio sulla Poetessa Alda Merini – di Annamaria Barreca

-Foto su pagina di Google

Saggio sulla Poetessa Alda Merini

Mi piace iniziare a parlare di Alda Merini (Milano 21 marzo 1931; Milano 1 novembre 2009) con il titolo di un articolo pubblicato sul Corriere delle Sera del 2 novembre 2009 a firma Paolo Di Stefano:

" Alda Merini, la poetessa dei Navigli che cantò i poveri, l’amore e l’inferno."

Sì, perché questa donna geniale dedicò l’intera sua esistenza alla poesia, non tralasciando la prosa. E’ molto difficile riassumere in poche colonne l’intero suo percorso umano, tenterò comunque di farlo, proponendovi " pillole" della sua enorme produzione letteraria. Migliaia di testi editati da grandi e piccoli editori, da Einaudi a Albatros. Un’anima inquieta ed inquietante, quella della Merini, sin dalla sua infanzia che ella così ricorda: " Un’infanzia apparentemente, esteriormente comune ma, data la mia sensibilità acuta e forse già esasperata, ricca di toni e volte angosciosi e malinconici…" A dieci anni vince il suo primo premio letterario: " Giovani poetesse italiane", ma l’ostilità di una guerra mondiale le impedisce il completamento degli studi superiori e questo costituirà per la Nostra una carenza che le segnerà tutta la vita imprimendole un senso di incompiutezza ed inadeguatezza che saranno alla base dei suoi tormenti interiori che sfoceranno in una vera e propria malattia mentale che la vedrà, più volte, ricoverata presso Ospedali Psichiatrici, all’epoca manicomi. Ciononostante i suoi versi esprimono una genialità d’altissimo livello letterario: "Mi hai suscitato dalle scarse origini/ con richiami di musica divina,/ mi hai resa divergenza di dolore,/ spazio per la tua vita di ricerca,/ per abitarmi il tempo di un errore". Non ama parlare della sua famiglia che definisce normale. A sedici anni si lega a Giorgio Manganelli, poeta e scrittore già sposato: " ci reggevamo entrambi negli abbracci/ pregando che durassero gli intenti/ ci promettemmo il sempre degli amanti…", la relazione passionale e tormentata è destinata a finire con il primo breve ricovero a Villa Turro per disturbi psichici. Nel 1952 pubblica il suo primo libro "La presenza di Orfeo" ed è subito successo, di lei s’interessano grandi critici e poeti come Spagnoletti, Luzi, Pasolini, Quasimodo. La sua natura irrequieta la porta ad aver bisogno di normalità, per cui si sposa con Ettore Carniti, un panettiere lontano anni luce dal suo mondo letterario. Non è una grande intuizione e presto comprende che la dimensione di moglie e madre poco s’addice alla sua frenesia cerebrale che la porta a scrivere e scrivere ossessivamente. Alla nascita della prima figlia ( 1955 ) corrisponde la pubblicazione di ben due raccolte di liriche: " Nozze Romane" e "Paura di Dio" e di un’opera in prosa "La pazza della porta accanto". " Ma sopprimere il tempo in un delirio/ di amplessi vorticosi,/ è ambizione di morte o imitazione / di pressione celeste intorno a Dio?" Con la nascita della seconda figlia, Flavia, nel 1958, il suo equilibrio psichico fragile non regge all’urto degli impegni e della responsabilità di essere madre; litigi familiari furiosi culminano con il suo ricovero presso l’Ospedale psichiatrico Paolo Pini, è il 1963 e per la Merini si apre il baratro del manicomio, le figlie le vengono sottratte e date in affido ad altre famiglie. Trascorrono, così, quattordici anni, tra ricoveri e rientri a casa, il marchio della malattia mentale le è ormai indelebilmente impresso nelle carni, ma ciò non basta a spegnere la sua brama di scrittura, che continua nonostante la sua condizione. Nel breve tempo dei rientri rimane incinta di altre due figliole, Barbara e Simona, anch’esse date in affido…Di loro dice: " Ho avuto quattro figlie. Allevate poi da altre famiglie. Non so neppure come ho trovato il tempo per farle. Si chiamano Emanuela, Barbara, Flavia e Simonetta. A loro raccomando sempre di non dire che sono figlie della poetessa Alda Merini. Quella pazza….Rispondono che io sono la loro mamma, che non si vergognano di me. Mi commuovono". I ricoveri prostrano la sua carne ma non il suo fuoco sacro: la poesia, che finisce col testimoniare l’orribile esperienza manicomiale nel suo diverso declinare: " Quando ci mettevano il cappio al collo/ e ci buttavano sulle brandine nude/ insieme a cocci immondi di bottiglie/ per favorire l’autoannientamento,/ allora sulle fronti madide/ compariva il sudore degli orti sacri,/ degli orti maledetti degli ulivi./ Quando gli infermieri bastardi/ ci sollevavano le gonne putride/ e ghignavano, ghignavano verde,/ era in quel momento preciso/ che volevamo la lapidazione". La poetessa è preda di sentimenti e passioni che la distruggono: è una donna divisa che cerca e trova nella scrittura il suo riscatto, la sua salvezza. Scrive all’amico Vanni Scheiwiller: " Di questa prigionia non ne posso più, di queste sbarre, di questi cancelli chiusi…." Nel 1979 rientra definitivamente a casa e ricomincia a scrivere, anche perché l’interesse dei critici verso i suoi scritti si è affievolito. Bisogna riguadagnare il tempo perso…Muore nell’1983 il marito, la Merini si trova di nuovo sola e mentalmente ancora fragile anche perché in condizioni economiche molto precarie; decide di affittare una camera ad un pittore per avere un piccolo introito mensile, intanto riallaccia una vecchia amicizia con un medico-poeta, Michele Pierri, che vive a Taranto e che la convince a sposarlo. E’ un nuovo inizio o solo una fuga dalla sua condizione? La morte del secondo marito e l’odio dei figli dello stesso fanno sì che ancora una volta debba conoscere il ricovero nel Manicomio di Taranto. Nel 1986 rientra finalmente nella sua Milano, nella sua casa sul Naviglio, riprende a scrivere, a contattare i suoi vecchi amici, ma, nonostante il fatto che Milano sia cambiata, la vita della poetessa conosce adesso il momento del successo: le vengono assegnati premi letterari prestigiosi, è richiesta nei migliori salotti letterari, in televisione, come una diva….Sono anni questi che segnano un ritrovato equilibrio nervoso e mentale ed anche una qualche certezza economica. Continua a scrivere e pubblicare migliaia di versi…la vita vissuta sempre border line, le presenta purtroppo il triste conto della malattia: un cancro ai polmoni che la porta alla morte, così ricordano quel momento le figlie: " Nostra madre si è spenta il 1 novembre 2009 all’Ospedale San Paolo di Milano, in seguito ad un tumore, fumando le sue amatissime ed inseparabili sigarette, una dietro l’altra fino all’ultimo, incurante dei divieti. I tristi rintocchi funebri delle campane del Duomo di Milano pesano ancora sui nostri cuori". Vogliamo ricordare che le sono stati tributati funerali di Stato e amiamo celebrare questa poetessa immensa con le sue parole emblematiche di un vissuto poetico senza limiti: " Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara".

Annamaria Barreca

 

-Ottavio Rossani - Corriere della Sera

Ottavio Rossani Corriere della Sera

8 Marzo 2016

Acura di Maria Richichi

e della Redazione "Comunicazione e Forme"

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